MONTICELLI D’ONGINA
Città d’Arte
Ricostruire i primi insediamenti umani nelle zone paludose a sud del Po (tra le attuali Piacenza e Parma) è un’impresa molto suggestiva ma altrettanto ardua e quasi impossibile.
Palafitte e detriti umani ritrovati nella zona testimoniano che già settemila anni fa il territorio era abitato. Il fiume scorreva entro un alveo naturale e con un percorso molto diverso da quello attuale; oltre agli acquitrini il territorio era punteggiato di “monticelli” di sabbia (da questa caratteristica del territorio tre origine il nome del nostro borgo).
Sulla nostra terra si succedettero gli Arii, poi i Pelasgi seguiti dagli Etruschi, ed infine i Galli Boi che vennero sottomessi dai Romani.
Documenti attendibili fanno risalire la fondazione di Monticelli al 163 a.C. quando fu costruito un accampamento delle milizie romane che si preparavano ad attraversare il Po alla conquista della Gallia Cisalpina. Tracce di questi insediamenti sono state rinvenute a Borgonovo e Boschi, allora lambite dalla riva destra del fiume.
Nel 115 a.C. il console romano Emilio Scauro intraprese una bonifica che, con l’irregimentazione dei torrenti appenninici, trasformò questa zona malsana in prativa e boscosa, favorendo ulteriori insediamenti umani.
Per l’area Monticellese, allora denominata Cogollo, le cose cambiarono con l’arrivo di Carlo Magno, re dei Franchi, nel 774; egli infatti donò queste terre al vescovo Stefano di Cremona il cui episcopato ne ebbe la giurisdizione fino all’XI secolo.
Un documento del 755, che cita il “Priorato di San Silvestro in Monticelli” tra le proprietà del monastero benedettino di Nonantola, conferma anche l’esistenza di una comunità religiosa.
La zona in origine faceva parte del territorio dell’Aucia, detto anche Auca ed Augia, che significa “territorio arativo, cinto di fossati e siepi”, ricco cioè di acqua (augia). L’Aucia rappresentò un’entità politica che, con modifiche ai suoi confini, abbracciò un periodo di circa 400 anni, dall’820 al 1214.
Dietro istanza del vescovo di Cremona Giovanni e per ordine del re Berengario I°, nel 914, vennero fissati meglio i confini tra le diocesi di Cremona e quella di Piacenza nei territori a sud del Po. Si ebbe così il frazionamento del monticellese in due accezioni territoriali e giuridiche: il burgus Guaragnorum di pendente da Piacenza ed il burnus de Unguenis dipendente da Cremona. Monticelli fu dunque una zona di confine: la parte più grande cremonese, quella più piccola piacentina.
Il confine a quel tempo (tra il X e XI sec.) passava attraverso le case di Monticelli, come si può rilevare da una mappa custodita presso l’archivio comunale di Piacenza, ed era segnato lungo la strada Piacenza-Cremona da un canale di scolo denominato “canale morto” e dall’argine delle “quattro ville” che tagliava la strada dal Tinazzo al Po.
Ma la lite tra i vescovi di Piacenza e Cremona circa i confini delle due diocesi continuò fino al 1181 quando concordarono, con apposito atto notarile, i nuovi termini delle pertinenze.
Nel XII secolo il Comune di Cremona subentrò al potere vescovile e anche Monticelli passò alle sue dipendenze. In questo periodo il potere venne esercitato dalle famiglie cremonesi Bonifaci e poi Dovara, vassalli imperiali, che svolsero attività patrimoniale e civile.
Uno degli esponenti di spicco della prima famiglia fu Coradus Unginus Bonifaciùs, da cui il toponimo “Ongina”.
Iniziò una fase di grande colonizzazione e di fortificazione della borgata che divenne l’avamposto difensivo dei cremonesi nel territorio emiliano con la costruzione, nel 1298, del castello.
Fu un periodo di grande splendore per il territorio monticellese a cui il Consiglio Generale di Cremona riconobbe una propria bandiera, segno di autonomia materiale e giuridica, e nominò in loco un Podestà e un Notaio. Un’importanza politica ed economica che vide numerose località della zona (Castelvetro, Olza, S. Giuliano, S. Pietro in Corte, Borgonovo, etc.) dipendere da monticelli, solo la pieve di S. Giuliano rimase autonoma e dipendente dalla diocesi di Cremona.
Nel 1335 Cremona passò sotto il dominio di Gian Galeazzo Visconti che, il 25 gennaio 1337, concesse Monticelli a Trichino da Clivio.
Il XIV secolo, caratterizzato dal consolidamento della potenza del Ducato di Milano, vide emergere nuove dinastie legate all’imperatore e ai duchi milanesi. Tra queste i Pallavicino, ghibellini da sempre, che costruirono uno Stato feudale autonomo, dipendente direttamente dall’Impero, che si estendeva nei territori di Piacenza, Cremona e Parma. Monticelli fu presa da Orlando Pallavicino il 20 marzo 1403 che coronò così il sogno di estendere ad ovest il suo Stato fino al Po.
L’investitura di questo feudo fu ufficializzata dall’imperatore Corrado e confermata dall’imperatore Sigismondo, nel 1413. Orlando ottenne il riconoscimento di detti privilegi anche dal duca Giovanni Maria Visconti (diploma del 1405) e da Filippo Maria Visconti (diploma del 1425).
Orlando Pallavicino (1394-1457), detto il Magnifico, fu un condottiero e un grande uomo politico: con lui lo Stato Pallavicino raggiunse il massimo del suo sviluppo. Seppe gestire in maniera esemplare i suoi domini. Promulgò gli “Statuta Pallavicinia”, un’importante raccolta di leggi che disciplinavano in maniera puntuale e dettagliata la vita del piccolo stato.
A Monticelli iniziò la costruzione del castello, cosciente del ruolo strategico della località e a testimonianza del prestigio politico che la sua casata andava assumendo. Il 25 luglio 1453 Orlando il Magnifico, temendo che alla sua morte sorgessero liti per la divisione dell’eredità tra i suoi figli maschi, dispose per ognuno una quota di beni proporzionata, a suo giudizio, ai meriti di ciascuno.
Tali disposizioni si rivelarono subito come una grossa fonte di discordia provocando tra gli eredi “liti gagliardissime per troncare le quali essi risolsero concordemente di rinunciare al testamento paterno facendone perciò pieno compromesso al Duca Francesco Sforza”. Il Duca, con suo lodo del 20 novembre 1457, frazionò il feudo in tante parti quanti erano gli eredi, ad eccezione di Busseto e Cortemaggiore, che vennero mantenuti come un unico possesso ai figli Gian Ludovico I° e Pallavicino II°.
Tutto questo determinò una diminuzione di autonomia e il passaggio da “feudatari imperiali” al livello inferiore di “feudatari camerali”…..che favori, anni dopo, le mire dei Farnese su questi territori.
Il feudo di Monticelli toccò al figlio Carlo, che era vescovo di Lodi dal 5 luglio 1456.
Grande benefattore e mecenate, Carlo Pallavicino (1427-1497) completò la costruzione del castello, facendone la sua dimora estiva. Egli fece edificare, con bolla del 5 febbraio 1470, la chiesa collegiata di San Lorenzo, oggi basilica, accorpando le parrocchie di San Giovanni e di San Giorgio.
Durante il suo governo vi fu una significativa e “ragionata” espansione urbanistica con la costruzione di un fossato intorno al paese, collegato a quello del castello, che diede grandi vantaggi agli abitanti. La sua corte, grazie alla magnanimità del sovrano, si distinse per vivacità e cultura con musici e pittori di grande livello che poterono esprimersi al meglio delle loro capacità.
Mons. Carlo Pallavicino governò per 40 anni e le sue spoglie riposano nella tomba (incassata nel muro e non visibile esternamente) collocata nel presbiterio della basilica di San Lorenzo.
Il feudo fu diviso tra due suoi nipoti, Antonio Maria e Gian Francesco Pallavicino.
Livia Pallavicino, nipote di Gian Francesco, sposò il marchese Gregorio Casali, signore di Cortona e di origine toscano-bolognese, portando in dote la parte di feudo ricevuta in eredità. Il loro figlio Michele, ottenne l’investitura della terza parte del feudo da Ottavio Farnese il 17 marzo 1567; i restanti due terzi furono devoluti alla Camera Ducale per l’estinzione del ramo Pallavicino che ne era proprietario.
Fu Francesco Casali a ricostituire il feudo originario riacquistando la parte che apparteneva al fisco, compreso il castello, il 24 maggio 1650.
Nel giugno 1551 il territorio fu invaso dai soldati di Carlo V al comando di Ferrante Gonzaga; l’occupazione durò fino all’aprile 1552 e alla comunità venne imposta una pesante tassa denominata “Colletta dei Focolari”.
Nel 1557 gli ebrei, espulsi dal Ducato di Milano, diedero vita ad un’importante comunità che si insediò nella “Contrada Granda” (oggi via Garibaldi), dove costruirono anche la sinagoga. La comunità ebraica diede impulso alla vita economica e culturale del paese almeno fino al 1925, quando la ritroviamo molto ridimensionata, per poi quasi sparire a seguito delle leggi razziali del 1938.
Nel 1601, papa Clemente VIII formò la diocesi di Borgo San Donnino (oggi Fidenza), e la parrocchia di Monticelli passò sotto tale giurisdizione, pur mantenendo ampia autonomia.
La peste, portata nel nostro Paese dai Lanzichenecchi, fece molte vittime anche a Monticelli sul finire del 1630 e per tutto il 1631.
Il 27 maggio 1660, Ranuccio II Farnese conferì a Francesco Casali il titolo di marchese, per sé e per i suoi discendenti maschi, titolo che la famiglia mantenne fino al 1805. Monticelli conobbe un importante rinnovamento urbanistico e un positivo sviluppo economico durante il governo dei Farnese.
Con la morte del marchese Antonio Farnese, avvenuta nel 1731, il territorio piacentino diventò teatro di battaglie e scontri tra fazioni locali e eserciti di vari Paesi (austriaci, spagnoli, piemontesi) con saccheggi e violenze ai danni delle popolazioni residenti. Nel 1736 una grave epidemia colpì i bovini e i suini delle zone di Monticelli, Castelvetro, Mezzano Chitantolo, S. Pedretto, S. Giuliano e Cortemaggiore.
La pace di Acquisgrana del 1748 assegnò l’ex ducato farne siano a Filippo di Borbone e riportò la tranquillità e la ripresa economica anche nel nostro territorio. Il 1764 e il 1765 furono anni di grandi carestie.
Nel 1775 iniziarono importanti lavori di riparazione e consolidamento degli argini e di difesa della sponda destra del Po.
Il 7 maggio 1796 Napoleone occupava Piacenza ed il 9 maggio veniva firmato l’armistizio tra i Ducati di Parma e Piacenza e la Repubblica francese. Il dominio francese introdusse grandi riforme (giustizia, catasto, soppressione dei conventi e dei diritti feudali, etc.); Monticelli entrò a far parte del Dipartimento del Taro e nel 1814 divenne capoluogo di comune compreso nel circondario di Borgo San Donnino.
Rimase tale quando fu restaurato il Ducato di Parma e Piacenza, con a capo Maria Luigia d’Austria, e nel 1821 divenne capoluogo di distretto, cui facevano capo i comuni di Castelvetro, Caorso, Villanova, Cortemaggiore e Besenzone.
Nel 1836 una terribile epidemia di colera fece numerose vittime.
Con la morte di Maria Luigia (2 dicembre 1847) gli Austriaci si ritirarono dal territorio piacentino e ritornarono per pochi anni i Borbone che lasciarono per sempre il territorio ducale il 21 agosto 1859 quando la nostra zona aderì al Regno Sardo, a seguito del plebiscito promosso dal governatore provvisorio degli Stati Parmensi, il piacentino conte Giuseppe Manfredi.
La legge del 15 marzo 1860 sancì l’entrata di Monticelli nel Regno di Sardegna.
Con l’istituzione del Regno d’Italia nel 1861 Monticelli, come parte della provincia di Piacenza, divenne sede di numerosi uffici pubblici (Pretura, Registro, etc.) e di importanti servizi (Ospedale, Casa di riposo, Carabinieri, etc.). Nella seconda metà dell’800 l’economia del paese fu caratterizzata dall’agricoltura, dall’allevamento dei bachi da seta e dalla pesca fluviale; furono anche avviate attività semi-industriali che affiancarono le tradizionali attività.
Nei primi anni del ‘900 fiorirono a Monticelli forti movimenti politici e sindacali che si rifacevano al pensiero socialista e che ancora oggi caratterizzano la nostra comunità. Molto forte fu l’associazionismo sia d’ispirazione laica che cattolica.
Le due guerre mondiali videro l’impegno e il sacrificio di numerosi monticellesi, alcuni dei quali furono insigniti delle più alte onorificenze al valore.
Tra questi vanno ricordati Alessandro Casali, medaglia d’oro della I° Guerra Mondiale, e il generale Attilio Ottolenghi, decorato dell’Ordine Militare di Savoia sempre nella grande guerra.
Il ventennio fascista, iniziato con la cacciata dell’allora sindaco Rinaldo Cappelletti, si concluse con un forte impegno nella lotta partigiana. L’impegno profuso dal popolo di Monticelli nella lotta nazi-fascisti e l’assistenza alle truppe alleate valse al Comune la Medaglia di bronzo al Valor Militare, conferita dal Presidente della Repubblica il 9 maggio 1994. Significativo fu il fatto che dopo la fine della guerra di nuovo fu eletto sindaco Rinaldo Cappelletti.
Nel 1957 gli eredi dei marchesi Casali vendettero il castello alla Parrocchia di S. Lorenzo in Monticelli, che ne ha fatto la sede di attività ricreative e culturali.
I LUOGHI DELLA STORIA E DELL’ARTE
Monticelli è un paese che riesce a comunicare allo sguardo del visitatore il proprio importante passato.
Chi entra nel centro storico coglie subito quanto di rinascimentale e barocco ancora resta nel tessuto urbano: i portici ed i palazzi nobiliari di via Martiri della Libertà, la Basilica di S. Lorenzo, la Chiesa di S. Giorgio e, maestoso, il Castello voluto dai Pallavicino.
Il Castello Pallavicino-Casali
Già esistente nel 1298, è uno dei più imponenti edifici di difesa esistente nel piacentino. Nella struttura attuale lo si deve a Orlando il Magnifico, agli inizi del 1400 poco dopo l’acquisizione del feudo di Monticelli, che lo volle possente e maestoso nelle forme, adatto a diventare un presidio militare.
Alla sua morte la fabbrica, rimasta incompiuta, venne portata a termine dal figlio Carlo che la destinò a sua residenza estiva.
Il monumento è uno dei più grandi, oggi presenti nella bassa padana, interamente costruito in mattoni di cotto.Nell’impostazione planimetrica ricalca lo schema classico dei castelli di pianura: a pianta quadrata con quattro corpi di fabbrica uniti ai vertici da altrettante torri rotonde, sporgenti dalla linea delle cortine. Sporgenti sono pure i masti incorporati al centro dei fronti orientale e occidentale.
I due masti, sormontati da affreschi con lo stemma dei marchesi Casali, creano il collegamento con l’esterno, ognuno con un ponte ed un ponticello levatoi, di cui ancora si notano gli stalli, in seguito sostituiti con manufatti in muratura.
Nell’androne del mastio orientale (accesso principale) affiorano tracce di antichi affreschi, tra cui una Madonna con Bambino del quattrocento.
Il cortile interno è rettangolare, circondato da un elegante portico con arcate a tutto sesto, di cui attualmente rimane un solo lato (gli altri portici sono stati occlusi). Le cantine, un tempo utilizzate come scuderie e magazzini di cibarie, oggi ospitano l’Acquario e Museo Etnografico del Po.
Strette e ripide scale a chiocciola portano ai camminamenti di ronda che si sviluppano lungo le cortine, sulle torri e masti, e poggiano su beccali in mattoni fra i quali sono innestate le caditoie.
Gli appartamenti nobili, posti al primo piano che si raggiunge con un ripido scalone in pietra, conservano alle pareti decorazioni del ‘700 e soffitti con pregevoli affreschi (coevi) con allegorie delle stagioni. Nel salone principale il grande affresco del soffitto rappresenta il trionfo del casato Casali.
Una grande e lunga galleria, sopra i portici ancora visibili, collega gli appartamenti nobili con la Cappellina di Corte.
Autentico gioiello d’arte, anch’essa al primo piano nel mastio occidentale, la Cappellina racchiude un prezioso ciclo di affreschi del ‘400 dei pittori Bonifacio e Benedetto Bembo. Gli affreschi, rinvenuti nel 1967 nel corso di alcuni lavori, sono stati recuperati e restaurati dal prof. Renato Pasqui.
Sono rappresentati cicli dei santi: storie della Passione; leggenda di S. Giorgio; storia di S. Bassiano da Lodi; Vergine con SS. Bernardo e Bernardino; i quattro Evangelisti e un’Annunciazione con il ritratto di Carlo Pallavicino.
Molto interessante è l’affresco dell’ultima cena che pare abbia ispirato Leonardo nella realizzazione di quella presente nel refettorio della Chiesa di Santa Maria delle Grazie a Milano. Una teoria suggestiva che si basa su due fatti:
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la grande somiglianza dei due affreschi;
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la realizzazione di quello monticellese circa 40 anni prima di quello leonardesco.
Lo stile di questi dipinti costituisce una transizione tra il tardo gotico e la pittura dell’umanesimo: il moderno concetto di prospettiva non esiste ma le figure umane hanno una naturalezza e un pathos unici.
L’originalità e il fascino inimitabile di questi affreschi sono dati appunto da questa loro posizione “di confine” tra due epoche e due modi di vedere il mondo.
Al piano superiore del mastio orientale vi è una stanza stretta, un tempo adibita a prigione. Sulle pareti sono ancora visibili i graffiti fatti dai suoi ospiti!
La Basilica di San Lorenzo Martire
La Chiesa Collegiata Abbaziale qualificata “Insigne e Regia” con bolla di Papa Sisto IV del 19 febbraio 1480, viene elevata a Basilica da Papa Pio XII nel 1942.
Realizzata da Mons. Carlo Pallavicino tra il 1470 e il 1480, su progetto di Giovanni Battaglio (attribuzione non certa), si trova sull’area dell’antico castello, di cui vennero utilizzati alcuni materiali edili.
Le sue linee architettoniche, originariamente stile gotico-lombardo, furono notevolmente modificate nel ‘600, nel ‘700 e nell’800.
Ha pianta a croce latina a tre navate. La facciata fu rifatta completamente nell’800, su disegno dell’arch. Arborio Mella, e i lavori terminarono nel 1878.
L’interno sfarzoso e opulento, ha un apparato decorativo opera in gran parte di artisti cremonesi.
Tra i tanti, spiccano le opere pittoriche di illustri maestri del XV e XVI secolo:
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i dipinti e gli affreschi del presbiterio e del coro realizzati tra il 1682 e il 1694 da Roberto De Longe, pittore fiammingo;
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il quadro della “Madonna con Bambino” di Altobello Melone, nella cappella della Beata Vergine del Rosario;
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le tele di Giovanni Battista Trotti, detto “Malosso” (S.Girolamo, S.Lucia, SS. Cecilia e Caterina, Transito di S.Giuseppe);
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le tele di Andrea Mainardi, detto “Chiaveghino” (Crocefisso e Santi, Decollazione del Battista, S.Margherita, S.Brigida);
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gli affreschi delle vele e delle lunette, oltre ad alcune tele, di Giovanni Battista Natali e figlio (Invenzione del Rosario, Presentazione al Tempio).
Nella Sacrestia della Basilica sono conservate altre opere pittoriche e un’importante e preziosa raccolta di paramenti sacri.
La Chiesa di San Giorgio
Edificio barocco, ricostruito nel 1873, fu parrocchia prima dipendente dai Benedettini di Nonantola e poi della Diocesi di Cremona.
La chiesa si trova fuori dalle mura del castello di Monticelli.
All’interno spicca una splendida ancona in legno dorato, con finissimo intaglio; una cornice barocca copre quasi tutto il coro.
Il tabernacolo fu costruito per celebrare il ritorno di tutti i legionari monticellesi che combatterono per la conquista dell’Impero.
La Chiesa di San Giovanni
Compresa all’interno del recinto cimiteriale. L’attuale chiesa di San Giovanni Battista fu eretta tra il 1870 e il 1871.
Anticamente era posta fuori dalle mura del borgo ed era parrocchia alle dipendenze della Plebana di Polignano-Piacenza.
All’interno è interessante una “Decollazione del Santo” di Andrea Mainardi.
Nel cimitero sono presenti numerose opere d’arte tra le quali alcune sculture del Monti.
Le vie del centro storico
L’impianto dell’attuale centro storico fu voluto dai Pallavicino che concepirono un’impianto urbanistico delimitato dalle attuali via Martiri della Libertà, via Palllavicino, via N. Bixio, via Alfieri, via Fadelli.
Le costruzioni erano allineate lungo le antiche contrade (le attuali vie Trieste, Cavour, Garibaldi, Moro, Vida, Manzoni) tutte parallele e orientate verso il castello.
Tra il ‘500 e il ‘700 il paese subì consistenti ampliamenti con la costruzione dei palazzi Azzoni e Archieri lungo la via Martiri della Libertà.
Pregevole è il complesso del ex ospedale (oggi casa protetta per anziani non autosufficienti) costruito nel 1700 per volontà di mons. Garimberti, vescovo di Fidenza. E’ del ‘700 anche la villa Casali, eretta in un ampio giardino ai margini del paese, oggi sede del Municipio.
Pregevole il monumento ai caduti, opera del cremonese Monti, che si trova nel giardino davanti alle scuole elementari.
Rilevanti i vestigi storici ed artistici presenti nelle frazioni.
LE FRAZIONI
Borgonovo
E’ un piccolo agglomerato di case, immerso nella campagna, dove sono stati rinvenuti i reperti di epoca romana più preziosi ed antichi del monticellese.
La piccola chiesa conserva un pregevole “San Rocco” di Andrea Mainardi.
Fogarole
Il piccolo paese, un tempo denominato Fogarolo, è posto sulla riva del Po, al limite del territorio comunale, ed è immerso nel pittoresco scenario padano, tra boschi di pioppi e ampie distese, tipiche della bassa, interrotte da frutteti.
La località non è citata negli antichi documenti civili ed ecclesiastici della zona. In una carta topografica dell’agro cremonese, dell’inizio del ‘500, è citato il nome “Fogaroi”, da cui il nome attuale.
L’etimologia di questo nome pare derivi dalla volontà di indicare uno dei punti di maggior foga delle acque del Po il cui alveo, in passato, occupava tutta l’area dell’attuale paese.
La prima chiesa si fa risalire agli inizi del ‘500, poi demolita per la costruzione di quella attuale.
La chiesa parrocchiale esistente, di stile lombardo, è dell’architetto Tancredi Venturini e fu costruita tra il 1903 e il 1906.
Ha una monumentale facciata in cotto ed uno snello campanile; l’interno è a tre navate sorrette da colonne polistile, illuminate da bifore con archetti a pieno centro e un bel rosone in facciata.
Olza
Piccolo borgo nei pressi della sponda piacentina del Po, il suo nome deriva da Aucia (acqua) con cui in passato si identificava questo territorio.
Un tempo si affacciava sul fiume ed era un importante porto fluviale dove, tra l’altro, era florido il contrabbando tra i due Stati confinanti.
Le sue origini sono certamente antecedenti ai primi insediamenti romani nella zona.
Più volte distrutto dalle cicliche alluvioni del Po, intorno al 1300 fu ricostruito nell’attuale posizione, leggermente scostato dal fiume.
Nella semplice chiesa ottocentesca è custodito un prezioso organo di Giovanni Battista Tonelli di Mantova datato 1890.
Molto belli e suggestivi i numerosi frutteti che, in primavera, propongono fioriture meravigliose.
Il fascino degli argini e i paesaggi fluviali completano questo angolo assolutamente unico.
In area “Santi”, per le sue peculiarità e ricchezze floro-faunistiche, si sta lavorando per il recupero di due lanche da adibire a parco naturalistico.
San Nazzaro
Centro tipicamente rivierasco, né è documentata l’esistenza già nel 376 d.C., la storia del paese è legata a Piacenza ed alla sua diocesi.
Nel corso dei secoli è stato dominio di molte famiglie nobili tra cui i Confalonieri, i Lupi, i Landi, gli Scotti, i Mandelli e i Serafini, che diedero il nome alla grande isola del Po.
La chiesa parrocchiale, eretta nel 1688, conserva affreschi settecenteschi di Giovanni Battista Galluzzi, Bartolomeo Rusca e Nicola Ferrari. Pregevoli gli arredi sacri custoditi nella sacrestia.
L’economia di S.Nazzaro per molti secoli è stata legata ai mestieri tipici del fiume: pescatori, cavatori di ghiaia, traghettatori, costruttori di barche; con l’ultimo dopoguerra molte di queste attività sono scomparse, sostituite da attività artigianali, industriali, agricole e nel settore dei servizi.
A S. Nazzaro, sulla riva del Po, è presente una vasta area denominata “Parco del Po”, una vera e propria oasi dove trascorrere momenti di tranquillità.
Per la presenza dello sbarramento sul Po della centrale idroelettrica di Isola Serafini, insiste un bacino a livello costante che, in alcune giornate dell’anno ospita gare italiane, europee e mondiali di motonautica.
San Pietro in Corte
Più noto con il nome di S.Pedretto, questa piccola frazione è divisa amministrativamente tra i Comuni di Monticelli d’Ongina e Castelvetro Piacentino ed il confine è segnato dal vecchio tracciato della strada statale che l’attraversa.
Il paese fece parte di una delle quattro corti regie dell’Oltrepo Cremonese, quella di Cogollo, da cui la denominazione “in Corte”.
Documenti del 1108 testimoniano l’esistenza di una chiesa dedicata a San Pietro. Più tardi vi si insediò una comunità di monaci Benedettini Cistercensi che edificarono monastero e chiesa (oggi scomparsi) nei pressi del rio Gambina.
Nel 1470 la località è quasi abbandonata, ma nel 1624 i Servi di Maria ricevono in dono da Giovanni Francesco Faerni l’Oratorio della Beata Vergine Maria, eretto nel 1617 come pio lascito.
Costruirono poi un convento, dove rimasero fino al 1806, quando la legge napoleonica soppresse gli ordini religiosi e ne confiscò i beni.
Il convento e l’oratorio caddero in rovina, mentre alcune preziose passarono all’attuale chiesa parrocchiale che era stata eretta nel 1713 per devozione all’Addolorata. Il tempio fu proclamato santuario mariano nel 1895.
Ad una sola navata, è in stile post-barocco; la facciata è stata rifatta nel 1807, seguendo il progetto originale. Nel 1954 fu aggiunto il pronao d’ingresso.
All’interno opere di Giovanni Battista Tagliasacchi, Gianpaolo della Chiesa, Giocondo Figlioli, Cesare Campini e, di grande rilievo, un affresco “Madonna con Bambino” attribuito ad Antonio Campi ed un quadro “Assunta con San Rocco” di Vincenzo Campi.
Nel 2001, in località “Secchetta” sono stati scoperti i resti di una villa romana, testimonianza ulteriore della presenza nel nostro territorio di questo popolo conquistatore. Attualmente sono in corso studi atti ad approfondire la conoscenza e l’importanza storica di questi reperti archeologici.
IL PO E L’AMBIENTE
Il fiume Po è a meno di un chilometro dal capoluogo e lambisce gli abitati di S.Nazzaro e Olza.
Nel territorio comunale, lungo le sue rive, sono presenti ristoranti, impianti sportivi e di intrattenimento, attracchi per natanti e percorsi di trekking immersi nella natura.
Sono presenti ampie zone d’interesse naturalistico, habitat naturali che consentono al visitatore di sostare stupito fra stagni dalle acque tranquille, vegetazione autoctona spontanea, dove è possibile osservare varie specie faunistiche locali e migratorie.
La visita delle zone golenali è un’esperienza suggestiva, seguendo i sentieri naturali tracciati nel tempo dal fiume che modificava il proprio alveo.
Lungo questi percorsi si possono cogliere le atmosfere più vere del grande fiume, godendo dei profumi della vegetazione, ammirando le varie essenze arboree e le numerose specie animali, tra cui gli eleganti aironi bianchi e grigi.
Notevole, in primavera, lo spettacolo della fioritura dei frutteti nella zona di Olza e Fogarole.
Per chi non vuole impegnarsi in camminate, il fiume offre angoli unici per il relax e lo scarico dello stress accumulato dai ritmi della quotidianità.
L’architettura delle cascine, ed altri segni del lavoro umano, testimoniano il significato e l’importanza del connubio tra natura e opere dell’ingegno umano, che da secoli assicura un portentoso eco-equilibrio.
Di particolare pregio naturalistico è il territorio di Isola Serafini, classificato “Sito di Interesse Comunitario (SIC)”, data la sua importanza, oltre che per le tipologie di vegetazione, quale punto di sosta e alimentazione per i migratori.
La ricchezza nell’isola di zone umide e vasti sabbioni richiama numerose specie animali (rondini di mare, fraticelli, falchi, gufi, picchi, etc.).
Di particolare incanto è il tratto che costeggia il torrente Chiavenna, a S.Nazzaro, e l’imbocco della conca della centrale idroelettrica, uno dei luoghi più adatti al bird-watching.
Infine il Parco del Po, sempre a S.Nazzaro, dove sopravvivono specie botaniche ormai quasi del tutto estinte, quale la quercia palustre.
LA TRADIZIONE GASTRONOMICA
La cucina monticellese è tra le più ricche e variegate, dove ai piatti della pianura si aggiungono quelli preparati con il pesce del grande fiume.
Qui si sposano i sapori raffinati delle tavole dei Pallavicino con quelli poveri delle tavole dei contadini e dei pescatori.
Il connubio fra tradizioni e sapori assicura una sosta piacevole a coloro che si vogliono cimentare con i piatti proposti dai ristoranti e dalle trattorie della zona.
L’elenco dei piatti e dei prodotti tipici sarebbe lunghissimo; ci limiteremo ai più significativi.
Per iniziare i salumi ricavati dal maiale: salame, coppa e pancetta tutti D.O.P., oltre a lardo, prosciutto e culatello; caratteristici i ciccioli e la sopressata … gustati con ‘l burtlèini, pasta con cipolle tritate fritta nello strutto di maiale.
Tra i primi piatti gli “Anvein” (detti anche Marubèn), anolini di pasta all’uovo, farciti con ripieno a base di stracotto, uova, grana padano e pangrattato e cotti in un brodo di carne mista (quella dei grandi bolliti). Una variante di questo piatto, riscontrabile solo nel territorio dell’antico stato dei Pallavicino (e quindi anche di alcuni ristoranti locali) è il ripieno fatto solo con grana padano e pangrattato ed in alcuni casi con l’aggiunta di pasta di salame.
Un altro caratteristico primo piatto, tramandato dalla tradizione contadina, è “Pisarei e fasò”, gnocchetti fatti con pangrattato, farina e acqua, cotti in acqua e saltati in padella con un sugo a base di pomodoro e fagioli borlotti.
Molto particolare è la “Pasta all’ebrea”, tipica di Fogarole, pasta cotta nell’acqua e, scolata al dente, condita con un sugo a base di aglio rosolato nell’olio con aggiunta di pomodori.
Tra i secondi piatti, oltre al già citato bollito misto (gustato con la tipica salsa verde e la mostarda), troviamo:
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la “Picula ‘d caval”, un originale intingolo di carne di cavallo macinata, pomodoro e verdure tritate fini;
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lo “Stracotto d’asino”, muscolo d’asino che, dopo essere stato marinato nel vino con gli aromi, viene cotto a fuoco lento, per molte ore, nello stùon (tipica casseruola di terracotta con il coperchio);
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pollame e selvaggina cucinati in vari modi, tra cui spicca la “Faraona alla creta”, piatto la cui origine si fa risalire ai Longobardi che usavano abitualmente questa tecnica di rivestire di creta le carni, prima di passarle al fuoco;
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pesci d’acqua dolce (anguilla, pesce gatto, storione) preparati sia fritti che in umido con pomodoro e piselli;
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gli “stricc” piccoli pesci, sempre di fiume, che vengono serviti fritti nell’olio bollente o in carpione … piatti squisiti che si possono gustare solo sulle rive del grande fiume!
Tra i dolci, di cui esiste una vasta scelta, il più caratteristico è la “Spongata di Monticelli”, piatto tramandato dalla tradizione ebraica, costituito da pasta sfoglia ripiena di un composto di miele, noci, pinoli, uvetta e amaretti tritati.
Per i vini la collina piacentina offre ottimi Gutturnio, Barbera e Bonarda, tra i rossi; Ortrugo, Monterosso, Malvasia e Savignon tra i bianchi.
Monticelli vanta una eccellente qualità di aglio definito “aglio bianco piacentino”, conosciuto ed apprezzato sui principali mercati internazionali.